Giorno 3 // Migrazioni

Il lavoro tra controllo e resistenza

Nel contesto europeo e nazionale, l’assenza di canali legali d’accesso per i migranti ha determinato come unica possibilità di permanenza e di riconoscimento quella di presentarsi come richiedenti asilo o rifugiati, stabilendo un’ambigua gerarchia tra migranti forzati ed economici. Coerentemente con questa tendenza che ha storicamente accompagnato le politiche migratorie, la legge Minniti-Orlando incorpora un ulteriore elemento, passato quasi in sordina nel dibattito politico, che determina un’accelerazione significativa nella gestione e nello sfruttamento dei e delle migranti. L’idea che un/a richiedente, “nell’attesa di un verdetto”, si possa dedicare “volontariamente” ad attività socialmente utili può e deve essere letta in connessione rispetto a quanto avviene nelle commissioni territoriali che valutano le richieste di protezione internazionale.
Risale, infatti, all’aprile 2017 un’inchiesta che getta luce sui “segnali positivi di integrazione”[i], ossia criteri utilizzati in modo discrezionale dai commissari in sede di valutazione delle richieste d’asilo. Lo scopo è quello di capire se il/la richiedente si stiano effettivamente sforzando nel loro tentativo di integrarsi nel paese di arrivo. Il sottinteso è che chi vuol rimanere nell’Unione Europea deve far di tutto per meritarselo.
Quale modo migliore del soggiogamento volontario al lavoro gratuito? Il/la richiedente è così impiegato in lavori utili, come per esempio la pulizia dei parchi o la cancellazione delle scritte dai muri delle decorose città in cui viviamo. È il caso di un bando pubblicato a Bologna nel 2016 dove tra le attività lavorative cui il richiedente accede volontariamente figurano la “Manutenzione e pulizia del verde pubblico”, la “Ristrutturazione opere di muratura” e (nella città del “food” non poteva mancare) l’ “Attività di supporto alla ristorazione”, la “Sorveglianza e lotta al degrado”[ii].
Piegati dall’ennesimo procedimento discrezionale, lo schiavo e la schiava perfetta, entrambi oculatamente selezionati, sono pronti per il loro ingresso in società!
Per quanto questo specifico meccanismo agisca esclusivamente sulla figura del richiedente, esso è in linea con decenni di politiche che legano l’attività lavorativa alla possibilità per un/una migrante di rimanere in Italia e più in generale sul suolo europeo. Tutto ciò avviene in un percorso che funge da banco di prova per politiche sul lavoro da imporre a livello complessivo (fatte salve le differenze tra garantiti e non) comportando un inasprimento generale, ovvero l’abbattimento delle condizioni salariali e di lavoro per tutte/i.
È il caso dei voucher il cui uso ha conosciuto un’autentica esplosione nel 2016, dopo che questo strumento era già largamente utilizzato da anni per pagare il lavoro dei e delle migranti. Ma è opportuno ricordare che la stessa Legge Bossi-Fini, con l’introduzione del contratto di soggiorno, è stata utilizzata come fonte di ispirazione anche da altri Paesi dell’Unione.
Tuttavia tale peggioramento, che porterà ad un’ulteriore svalutazione della forza-lavoro, si scontra costantemente con lotte, vertenze, micro e macro resistenze che si sono storicamente imposte come argine.
Pur volendo analizzare come si esercitano le forme di potere rispetto alla migrazione e quali sono i suoi ultimi sviluppi in ambito lavorativo, l’obiettivo del tavolo è quello di interrogarsi sulle resistenze dei soggetti di fronte all’inasprimento delle condizioni di lavoro e di vita.
In particolare la discussione affronterà tre temi principali:
1) Le ricadute (quelle già in atto e quelle prevedibili) della legge Minniti-Orlando sul mondo del lavoro;
2) Le forme e le evoluzioni delle resistenze sul lavoro, nei settori dove la componente migrante assume una presenza e un protagonismo significativi;
3) Il modo in cui forme di solidarietà attiva si offrono come fattore di ricomposizione sociale.
[i] Antonello Mangano, “Migranti, le domande della vergogna: “Ti hanno
[ii] Progetto Bolognaccoglie 2016/2017. Disponibile al link: http://www.comune.bologna.it/media/files/schedabolognaaccoglie2.pdf

Dispositivi di governo

Domenica 25, ore 14, Palestra Popolare Gino Milli
A partire dalla fine dei mesi estivi del 2017, nelle dichiarazioni in merito al drastico calo degli sbarchi dei e delle migranti sulle coste italiane, il Ministro dell’Interno Minniti ha sempre tenuto a smarcarsi dalla figura di colui che è riuscito a fermare i flussi, precisando che il suo obbiettivo era ed è sempre stato quello di un loro governo.
Uno sguardo alle nostre spalle mostra come, lo scorso anno, tale proposito è stato praticato in modo trasversale e pervasivo. A partire dalla firma del memorandum d’intesa tra Serraj e Gentiloni, passando per l’emanazione del decreto Minniti Orlando e l’attacco alle ONG che operano i salvataggi nel Mediterraneo, il governo dei flussi ha agito tanto sul piano trans-nazionale, nell’esternalizzazione del confine, quanto sul piano nazionale, investendo diversi aspetti riguardanti la migrazione, dal diritto al cosiddetto sistema dell’accoglienza.
È in questa complessità che si situa il tavolo “Dispositivi di governo”, proponendosi di interrogare ambiti di particolare intensità del governo delle migrazioni, quali il sistema Hotspot, il sistema d’accoglienza e la normativa sull’immigrazione.
Questi ambiti verranno analizzati nella loro natura spesso molteplice all’interno della gestione dei flussi. Ne è un esempio il ruolo dell’Hotspot che, da istituzione frontaliera volta alla detenzione ai fini di identificazione e selezione dei e delle migranti, diventa anche strumento di gestione dei movimenti interni all’Europa, come si è visto nel caso delle deportazioni da Ventimiglia all’Hotspot di Taranto.
Altrettanto stratificato si mostra il sistema d’accoglienza, allo stesso tempo strumento di controllo e accoglienza. Rispetto ad una fase iniziale in cui la situazione era caratterizzata esclusivamente da strumenti repressivi e di contenimento(ricordiamo l’incubo dello Stadio di Bari utilizzato nel ’91 per contenere le persone sbarcate dall’Albania), oggi lo scenario è ben più complesso, anche grazie alle continue lotte delle/dei migranti con il sostegno dei movimenti solidali. Ciononostante, la dialettica tra controllo e “accoglienza” caratterizza ancora tutta l’intricata filiera in cui il sistema è articolato (CdA, CARA, CAS, SPRAR…). Se, da un lato, questa sfaccettata struttura consente un’effettiva accoglienza materiale e un accesso alle tutele minime, dall’altro si mostra come integrato dispositivo di controllo in grado di comprendere tanto forme sinceramente detentive, quanto più sofisticate modalità di selezione, normalizzazione ed esclusione.
Quest’ultimo aspetto è certamente il più controverso: pur nei continui mutamenti politici e normativi, l’accesso alla protezione e all’accoglienza è garantito solo a quel/la migrante che, passando per le maglie delle selezioni e valutazioni operate al livello trans-forntaliero, frontaliero e locale, rientri nel modello del rifugiato, bisognoso e decoroso. Tutto il resto può essere confinato, respinto, incarcerato dall’altra parte del Mediterraneo, sebbene oggi sappiamo che i e le migranti continuano a migrare, diversificando le rotte e gli approdi, con un ulteriore aumento dei rischi.
Nel tavolo si affronteranno poi gli effetti delle ultime riforme normative del diritto d’asilo. Diventato negli ultimi anni principale canale di accesso regolare al territorio italiano, il diritto d’asilo è oggetto di attacco e questo comporta lo svilimento delle sue potenzialità di garanzie e tutele. Tale offensiva verrà analizzata a partire dal suo impatto sul lavoro delle operatrici e operatori del diritto, sul piano degli effetti della legge Minniti – Orlando e su quello delle prassi delle istituzioni giuridiche.
Attraversando questi diversi ambiti e interrogando le eterogenee figure che li animano, si intende costruire strumenti di analisi che evidenzino i dispositivi di controllo nel campo delle migrazioni come parte di un più ampio processo di repressione, selezione e sfruttamento, nella consapevolezza delle molteplici forme di resistenza e fuga dei soggetti da questo tentativo di governo.
Le riflessioni qui condivise vogliono fare da spunto per il momento conclusivo della giornata, in cui ci si vuole interrogare su come mettere in discussione l’azione di forme repressive nella pratica di tutti i giorni, al fine di superarle e di riflettere collettivamente sui possibili margini d’azione in senso opposto.
Ne parliamo con:
Ivana Piro (avvocato)
ALAB (Assemblea dei lavoratori dell’accoglienza Bologna)

Foto: hotspot di taranto

Autore: Luciano Manna

Licenza: CC Attribuzione – Non opere derivate 3.


Oltre i confini dell’accoglienza

Quello che sarà l’incontro conclusivo della tre giorni è probabilmente il momento più complesso e “rischioso” da affrontare: l’obiettivo è la costruzione di un luogo in cui possano generarsi (im)possibili alleanze, a partire proprio da dove sembrano condensarsi e intensificarsi le maggiori contraddizioni attorno al tema migratorio: l’accoglienza. La modalità non potrà quindi che essere assembleare, per lasciare spazio alla presa di parola di tante e tanti, rispetto ad altri momenti più frontali.

Qualche premessa che è anche un tentativo di analisi…

A partire dalla cosiddetta Emergenza Nord Africa fino ad oggi, il discorso pubblico e politico sul fenomeno migratorio è stato letto sempre più attraverso la lente miope e fuoriviante dell’accoglienza. Se il numero di persone ammesse sul territorio, sulla base dei decreti flussi, negli ultimi vent’anni è progressivamente in calo, e, d’altra parte, il numero delle richieste d’asilo ha registrato un aumento esponenziale, risulta dunque evidente come l’accoglienza abbia occupato ormai, oltre al campo discorsivo, anche quello materiale rispetto a un fenomeno che di fatto la eccede, le migrazioni. La richiesta d’asilo, e quindi l’accesso all’accoglienza, è diventata pressocché l’unica maniera per uno/a straniero/a di regolarizzare la propria presenza in Europa.

Negli anni sono stati tanti gli episodi di violenza e intolleranza razzista, pestaggi, raid contro centri d’accoglienza o barricate per impedirne l’apertura di nuovi. Ma è necessario sottolineare un passaggio ancora più preoccupante: dall’uccisione di Samb e Diop a Firenze nel 2011 ai fatti di Macerata passiamo dalla narrazione del “gesto del folle” allo sdoganamento e alla giustificazione di una tentata strage. Un climax che chiaramente orienta le tensioni dell’intera società verso i/le migranti come principale nemico su cui far ricadere la violenza più esplicita.

Nel bel mezzo di una crisi di leggittimità le élites di potere sono disposte a sperimentare dosi misurate e controllate di “guerra civile”. Un esempio è quanto sta avvenendo sul fronte mediatico e istituzionale, dove è sempre più diffusa la critica al sistema d’accoglienza, che diventa una messa in discussione dell’accoglienza in senso lato. In questo scenario trovano spazio le più becere retoriche razziste della Lega (i migranti negli hotel a 5 stelle, i 30euro al giorno, aiutiamoli a casa loro…); il restringimento delle garanzie per i/le migranti e l’irrigidimento del ruolo di chi opera nell’accoglienza con la Minniti-Orlando; la criminalizzazione dei movimenti solidali; la messa in discussione dell’operato delle ONG nel Mediterraneo; gli accordi stretti con la Libia. In sintesi si è arrivati a ritenere politicamente e socialmente accettato l’utilizzo di ogni mezzo necessario per impedire un arrivo di migranti che non sia filtrato da confini. Confini che, nel corso degli anni, si sono moltiplicati ed estesi, giungendo fino in Niger.

Tutto questo rappresenta un modello di governance, controllo e repressione sulla vita e la mobilità, fatto sulla pelle dei/delle migranti.

Analizzarne i dispositivi e confrontarsi con le differenti soggettività coivolte ci sembra necessario per poter anche solo immaginare resistenze possibili.

E’ rilevante come la questione migratoria sia ritenuta una “emergenza”, non solo a livello mediatico ma anche a livello istituzionale. Con questa giustificazione si mettono in campo politiche e dispositivi di selezione e produzione di soggetti migranti disciplinati e “decorosi”, come sarà analizzato dal tavolo sui “Dispositivi di governo”.

Dalle procedure sanitarie al dislocamento dei centri tutto sembra orientato a rassicurare (ovvero impaurire) la popolazione ospitante, piuttosto che alla tutela di chi arriva, creando un ulteriore confine. A tale divisione si sono opposte le diverse forme di solidarietà espresse negli ultimi anni e che sono state duramente represse: da chi ha lottato per la chiusura dei CIE, al presidio sugli scogli di Ventimiglia e a quello in stazione a Como, tante e tanti sono stati colpiti da denunce e fogli di via; sono state emesse ordinanze pur di impedire un semplice gesto solidale come quello di offrire cibo a un/a migrante.

Abbiamo visto come questi focolai di resistenza sono stati duramente repressi, e oggi gran parte del lavoro di solidarietà si muove in spazi di informalità, che proprio per questo vanno in conflitto con la possibilità di rivendicazioni e di mobilitazioni più ampie, com’è stato in passato.

Per questo crediamo sia il caso di provare a trovare assemblaggi fra queste figure estremamente precarie e in parte contraddittorie:

I/le migranti che, da Cona a Modena, fanno dell’accoglienza un terreno di conflittualità e/o rivendicazione.

Gli operatori e le operatrici che da mesi stanno mettendo in discussione il proprio lavoro, soprattutto in seguito al decreto Minniti-Orlando che ne ha provato a esacerbare il carattere più coercitivo.

I/le solidali no borders che continuano a seguire le situazioni di confine e tutte quelle persone che in queste settimane stanno scendendo in piazza contro il razzismo dei fascisti e dello stato.

Abbiamo chiamato questa tavola rotonda “oltre i confini dell’accoglienza”, perché sappiamo come il sistema dell’accoglienza istituisca e rafforzi divisioni, definendo un “noi” e un “loro”, imponendo ruoli gerarchici. Così come siamo consapevoli che si tratta di un campo denso di conflitti e contraddizioni che riteniamo necessario allargare. Il primo passo consiste nel far cadere le opposizioni che tra queste figure si creano, ricordandoci che esse sono imposte dall’alto, da chi valuta, seleziona, differenzia, sfrutta, mette a lavoro, reprime.