Giorno 2 // Decoro

La repressione della “movida” tramite le ordinanze

Le ordinanze dei sindaci contro le birrette in piazza, contro i pic-nic nei parchi o lo sdraiarsi sulle panchine sono trattate, il più delle volte, come tema di folclore politico, bizzarrie di una classe politica che grufola a destra in cerca di consenso. Quei provvedimenti si trovano invece all’incrocio di due istanze politiche e di governo molto forti, decisamente connotate in senso ideologico e di classe.
La prima è quella della creazione del nemico: l’amministratore indica, con il suo provvedimento, al cittadino con chi prenderesela, a chi attribuire la causa del disagio (economico e sociale) che lo attanaglia, che gli sottrae speranza di futuro. Tra il sindaco Pd di Macerata che, all’indomani di una tentata strage, esprime il suo “fastidio” per gli immigrati che chiedono l’elemosina, i suoi colleghi di tutta Italia che manifestano quello stesso fastidio in forma di divieto, e Luca Traini che infine spara c’è un nesso evidente, e la forza di questo nesso è impastata (anche) di ordinanze.
Ma la seconda, e più sottile, istanza di governo che si esprime attraverso le ordinanze è quella che impone un attraversamento differenziato dei luoghi cittadini. Una piazza – esemplare il caso della bolognese piazza Verdi – da luogo aperto e in qualche modo orizzontale, in cui le differenze di classe ovviamente pesano ma non impediscono la semplice presenza, diventa un luogo in cui si può sostare solo se si può consumare. E non basta un consumo qualsiasi, come una birra o un panino seduti per terra, ma è necessario consumare in modo decoroso. Ovvero: costoso. E questo “attraversamento differenziato” spiega anche le ordinanze che colpisono i luoghi della movida, vittime del loro stesso successo e necessitanti, nell’ottica della città iperliberista, di un “upgrade” di classe dei frequentatori serali e notturni.
L’ordinanza diventa, quindi, un pezzo importante della privatizzazione dei luoghi pubblici.
Non è casuale il fatto che talvolta le ordinanze non agiscano sull’intero spazio urbano cittadino, ma colpiscano precise aree della città in maniera differenziata. A Bologna nello scorso anno 2017 sono state attivate sei diverse ordinanze contro il consumo di alcolici contenenti indicazioni differenti per ogni quartiere. Nel caso di Torino invece, un’unica e controversa ordinanza firmata dalla giunta Appendino dopo lo scandalo mediatico costruito intorno ai fatti di Piazza San Carlo (fatti che sono un “prodotto” del securitarismo, non una sua “causa” o “giustificazione”), ha prodotto controlli intensi nelle zone del divertimento notturno riuscendo fortunatamente anche a scatenare processi di resistenza diffusa che in alcuni casi hanno determinato l’allontanamento delle forze dell’ordine dai luoghi della socialità.
Infine ci interessa notare le motivazioni salutistiche/ambientali di diverse ordinanze: i divieti di vendita di birre fresche, che colpiscono (guarda caso) il piccolissimo commercio gestito da migranti, sono infatti formalmente emessi “contro l’alcolismo e la dispersione del vetro”. Ricordiamo, a questo proposito, che anche i provvedimenti del nazismo e del fascismo contro l’”abbrutimento dell’osteria” e l’etilismo erano in realtà mossi dalla volontà di attaccare luoghi di socialità dove, anche grazie alle lingue sciolte dal vino, venivano espresse critiche ai governi. Potremmo quindi ipotizzare che i regimi che intendono riscrivere totalmente la società (in senso fascista allora, oggi in senso iperliberista) hanno strutturalmente bisogno di colpire i luoghi di socialità – compresi quelli che non esprimono esplicitamente forme di resistenza e opposizione.

La produzione di socialità disciplinata tramite l’immaginario del turismo e del food

Daspo, ordinanze, fogli di via, divieti di dimora; insieme alla costruzione di un ambiente urbano ostile (eliminazione delle panchine, luci violente… fino alla bagnatura delle strade in funzione antimovida) e alla “prevenzione situazionale del crimine” (tornelli, telecamere…) hanno il compito di disciplinare la società e allontanare dai luoghi della città vetrina i poveri, i contestatori, nonché “indecorosi” e “indecorose” di ogni genere.
Liberarsi dei soggetti sgraditi non è però che uno dei due gesti compiuti dal governo della città iperliberista: l’altro è l’attrazione dei soggetti/consumatori auspicati. Turisti, “creative class” (ovvero, il più delle volte, precariato “lealista” e ottimista), studenti benestanti, insomma tutti quelli che sono tanto bene stilizzati in una qualsiasi pubblicità di aperitivo. La presenza di questi soggetti, oltre al business che essi generano direttamente, è importante come pegno consegnato da chi amministra la città ai settori economici che sostengono le operazioni di recupero e riqualificazione urbana. Ovvero: finché ci sono turisti e creativi vi sarà propensione all’investimento, al contrario qualsiasi provvedimento che ne disincentivi il flusso continuo sarà motivo di frizione con il capitale.
Se questa considerazione è vera, è proprio qui che si potrebbe individuare una criticità per gli amministratori della città iperliberista: essi devono tenere sotto controllo la vivacità urbana ma non devono spegnerla, perché essa è parte dell’”appeal” urbano. Di qui la necessità di colpire in modo mirato i soggetti “non conformi”, ma anche di gestire la folla per evitare che le sue dinamiche possano spaventare i più impressionabili dei consumatori auspicati.
I flussi e la caratterizzazione di questi consumatori, e il loro rapporto inscindibile (anche se soggettivamente del tutto ignorato) con gli investimenti pubblici/privati nella/sulla città, sono il tema di questo secondo incontro della giornata del sabato. Anche nei suoi risvolti: la crescita degli affitti che segue, ineluttabile, non già la realtà ma addirittura solo l’auspicio di una città turistica, e l’aggravarsi delle condizioni delle classi popolari che si trovano – nei quartieri storicamente operai – a “competere” per l’abitazione con investitori grandi e piccoli orientati al business turistico (modello Airbnb). Una condizione di difficoltà abitativa che si manifesta nelle lotte per la casa, ma anche in solitarie strategie di riduzione della spesa (sul cibo, sul riscaldamento, eventualmente sulle cure mediche) a fronte dell’insostenibilità dell’affitto.
Imprescindibile, infine, il ruolo del cibo nei processi di gentrificazione, tanto nella costruzione dell’immaginario quanto nei processi materiali. È infatti evidente che EXPO 2015, fra i suoi tanti misfatti, ha consacrato definitivamente il legame tra cibo e ridefinizione dello spazio urbano, dai ristorantini “originali” e i luoghi dedicati allo “street food”, fino alle “grandi opere” e alle scelte urbanistiche come FICO a Bologna. A partire dalla questione del cibo e dell’alcool si crea così una polarizzazione che vede, da un lato, modi, prezzi e luoghi di consumo decorosi, opportuni, sani e istituzionalmente auspicati e,dall’altro, comportamenti e consumi considerati portatori di degrado, indecorosi e malsani, quando non addirittura additati come problemi di ordine pubblico.
La città decorosa e turistica, dunque:
1) perseguita i soggetti che a quel decoro si ribellano esplicitamente (movimenti) oppure non vi si possono neppure in apparenza conformare (senzacasa e poveri);
2) colpisce chi forza i confini della movida risultando troppo rumoroso o semplicemente “di troppo”;
3) ma anche penetra nelle vite dei più fragili, fin nella loro casa, sottraendo loro la possibilità di condurre in modo dignitoso (altri direbbero: “decoroso”), nonostante la povertà, la propria esistenza.
Ne parleremo con:
Giovanni Semi (autore di “Gentrification: tutte le città come disneyland?” https://mulino.it/isbn/9788815258038)
Davide Olori (ricercatore UniBO) “E’ tutto loro quello che luccica? Bologna e i mercati del food”